Tutta la storia dei caratteri tipografici

Storia dei caratteri tipografici: l’alba della stampa

Dalla scrittura alle prime forme dei caratteri tipografici

La storia del libro è legata in maniera indissolubile alla storia della scrittura e alla divulgazione del sapere e della conoscenza. Con l’invenzione della stampa è nato lo studio dei caratteri tipografici, detti anche tipi, creati all’inizio come imitazione della scrittura a mano.

Con questo pezzo, vogliamo iniziare con voi Edighers un fantastico viaggio nell’universo della tipografia. Sì, perché il tema è così vasto e abbraccia così tanti secoli che sarebbe troppo riduttivo fermarci a un articolo solo.

Per approfondimenti: La storia del libro spiegata in breve

Caratteri mobili in metallo
Caratteri mobili in metallo (Wikimedia Commons)

Terminologia: tipografia, carattere, glifo, carattere tipografico e font

Per fare un po’ di chiarezza, ci sembra opportuno definire i termini nell’accezione moderna, riferiti quindi alla tipografia digitale.

La parola tipografia non richiama soltanto lo stabilimento in cui si eseguono le operazioni di composizione e stampa, ma viene utilizzata anche per designare l’attività e la tecnica di stampa stessa, nonché lo studio e la realizzazione dei caratteri tipografici, oggi mediante software.

Il carattere è una lettera oppure un segno di punteggiatura o, ancora, un simbolo. I glifi sono le forme specifiche dei caratteri all’interno dello stesso carattere tipografico.

Vi state perdendo, vero? Proviamo a semplificare. La lettera A è un carattere. Ma la A può essere minuscola, maiuscola, accentata, scritta in corsivo, inserita come apice o pedice: tutte queste varianti rappresentano i suoi glifi.

L’insieme di tutti i caratteri e i glifi facenti parte dello stesso alfabeto creato seguendo una coerenza visiva e di significato prende il nome di carattere tipografico (typefacein inglese).

Ma quindi il font cos’è? Semplice: oggi con font si intende il file (anzi, ognuno dei file legati alle tante variazioni di peso e stile – grassetti, corsivi ecc. – che ne compongono la famiglia) che occorre installare sul proprio computer per visualizzare e utilizzare il carattere tipografico.

Facciamo un esempio pratico. Il Garamond è il typeface, il file ITCGaramondStd-BdIta.otf è uno dei font che compone la famiglia del Garamond, nella fattispecie lo stile Garamond bold italic.

Esempio dei glifi del font DM Sans Bold
Esempio dei glifi del font DM Sans Bold

L’origine della forma dei caratteri e il primo carattere tipografico

Le forme maiuscolo e minuscolo dell’attuale alfabeto latino adottate per la stampa derivano da due modelli tra loro molto distanti nel tempo.

  • Il maiuscolo riprende la capitalis romana, e l’iscrizione sulla colonna di Traiano (114 d.C.) era considerata la sua perfetta espressione.
  • Il minuscolo, invece, si ispira alla grafia unificata voluta da Carlo Magno, la scrittura carolina, che contribuì alla cosiddetta rinascita carolingia in campo culturale e religioso, e a cui si rifecero gli stampatori umanisti rinascimentali nel XV sec.

Eppure, il primo carattere tipografico della storia, utilizzato da Gutenberg per la sua Bibbia a 42 linee intorno al 1455, è stato un gotico, di impostazione rigorosa e slanciata, a ricordare le architetture dell’epoca, e così fitta e compressa da richiamare la trama di un tessuto: simulava la cosiddetta textura, una variante estremamente angolosa di scrittura gotica.

Una pagina della Bibbia di Gutenberg
Una pagina della Bibbia di Gutenberg (Wikimedia Commons)

Fu scelto perché, nell’Europa centro settentrionale – e quindi nella Germania di Gutenberg – come calligrafia formale restava predominante la scrittura dei Goti (e sì, il termine era dispregiativo e venne coniato successivamente dagli umanisti), sviluppatasi già dall’XI sec. nell’intera area europea, Italia compresa, nonostante fosse poco nitida e sempre più spesso appesantita da sovrabbondanza di elementi decorativi.

Proprio in contrasto all’utilizzo della scrittura gotica, così poco accessibile alla lettura, Francesco Petrarca fu uno dei primi intellettuali a proporre il ritorno alla calligrafia minuscola carolina, più elegante ed equilibrata. I copisti umanisti, in particolare Poggio Bracciolini e Niccolò Niccoli, la perfezionarono ideando la littera antiqua.

Ultima pagina della trascrizione di Cicerone da parte di Poggio Bracciolini, 1425 (Wikipedia)
Ultima pagina della trascrizione di Cicerone da parte di Poggio Bracciolini, 1425 (Wikipedia)

A proposito di storia, vi interessa conoscere l’invenzione della numerazione delle pagine e dell’indice nei libri? https://formazioneditoriale.it/indice-del-libro-cosa-e-quando-nasce/

Come si realizzavano i caratteri tipografici

La realizzazione dei tipi era la fase più delicata e costosa del procedimento di stampa. C’era bisogno di incisori che lavorassero sui punzoni dai quali si ricavavano i caratteri. Si utilizzava in sostanza la stessa tecnica degli orafi e dei maestri di zecca, molti dei quali si erano ‘convertiti’ a questa nuova professione, come lo stesso Gutenberg d’altronde.

I punzoni erano di metallo, che veniva lavorato a mano per ottenere il glifo in rilievo a rovescio, dopo di che veniva temprato e indurito. Il punzone veniva premuto su un metallo duttile come il rame in modo da creare un incavo che avrebbe costituito la matrice del carattere.

Nello stampo veniva poi versata una lega di piombo, antimonio (per aumentarne durezza e resistenza) e stagno (antiossidante e amalgamante) fusi, producendo così le copie dei glifi desiderati.

Fonderia di tipi nella tavola illustrata dell'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, 1763 (Wikimedia Commons)
Fonderia di tipi nella tavola illustrata dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, 1763 (Wikimedia Commons)

Figura 5: Fonderia di tipi nella tavola illustrata dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, 1763 (Wikimedia Commons)

È proprio dalla tecnica di fusione che è nata la parola font, che in realtà non è una parola inglese, o meglio, è la trasposizione inglese ma di un termine derivante dal francese medievale: fonte, pronunciato senza la e finale, che significava fuso, participio passato del verbo fondere.

L’origine di questa parola ha creato una famosa diatriba nel mondo grafico italiano tra chi considera font un vocabolo maschile e chi gli assegna il genere femminile. E voi da che parte state?

La classificazione dei caratteri tipografici

Esistono numerose classificazioni dei caratteri tipografici. In questa occasione prenderemo in esame quella stilata dal disegnatore Aldo Novarese.

Nella sua vita, Novarese progettò più di 100 caratteri tipografici, declinati in oltre 300 serie. La sua produzione spaziò dal mondo classico, creando caratteri come il Nova Augustea o il Garaldus negli anni Cinquanta, alle sperimentazioni pop (font Stop, 1971), fino alle serie dei lineari (Eurostile, 1962).

Due sono le sue pubblicazioni fondamentali sui caratteri tipografici: Alfa-Beta (1964) e Il segno alfabetico (1971).

Per Novarese, esistono dieci gruppi distinti di caratteri tipografici. I primi otto riguardano caratteri con le grazie (serif, in inglese) e gli ultimi due senza grazie (sans serif).

  1. Lapidari: sono i classici romani, sul modello delle capitalis, caratterizzati da grazie triangolari che generano un angolo acuto con la linea di base (es. Trajan).
  2. Medievali: sono quelli gotici che richiamano la scrittura con la penna d’oca (es. Textura).
  3. Veneziani: derivanti anch’essi dai caratteri romani antichi ma con grazie più arrotondate e le linee più contrastate (es. Jenson, Garamond).
  4. Transizionali: nati intorno al Settecento, rappresentano l’evoluzione dal romano antico al romano moderno; sono simili ai veneziani ma si differenziano per via delle grazie meno evidenti e per un contrasto molto netto tra le aste (es. Baskerville).
  5. Bodoniani: presentano grazie ad angolo retto e aste estremamente contrastate (es. Bodoni).
  6. Scritti: detti anche calligrafici sono, appunto, quelli che imitano la scrittura a mano e, a seconda dello strumento che simulano – penna d’oca, stilografica, biro, pennello, ecc. – possono apparire molto diversi l’uno dall’altro, essere legati (es. Kuenstler Script) oppure non legati (es. Cancellaresca Script).
  7. Ornati: anche chiamati amanuensi, presentano fregi, ombreggiature, decorazioni molto evidenti e frequentemente vengono utilizzati come capilettera (es. Victorian).
  8. Egiziani: detti anche egizi o slab serif, sono stati creati perché siano letti da grandi distanze e quindi destinati ai messaggi pubblicitari e alla segnaletica; si riconoscono dalle grazie ad angolo retto (es. Clarendon, Rockwell).
  9. Lineari: chiamati anche bastoni, sono quelli più moderni, senza grazie e con aste uniformi (es. Arial, Helvetica, Futura).
  10. Fantasia: sono tutti quei caratteri non riconducibili ai gruppi precedenti e che non seguono regole particolari nella costruzione; solitamente sono caratterizzati da una scarsa leggibilità (es. Stop).
Caratteri tipografici
Caratteri tipografici

Dell’impaginazione e della scelta dei font abbiamo parlato qui

Per approfondire la storia dell’editoria

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